Morfa Conwy, Sir Kyffin Williams. English (1918 - 2006)

domenica 29 marzo 2015

L'errore di pensare

IN UN BATTITO D’ALI
di Emilio Santoro (1995)
L’errore fu forse quello di pensare.
D’altra parte, gli anni erano passati anche per quell’uomo modellato dalla monotonia e dal grigiore delle sue abitudini sedimentate, dei suoi comportamenti sempre uguali; anni accumulati nell’assoluta prevedibilità della propria vita, scandita da orari invariabili, da situazioni sempre ripetitive: usciva di casa e rientrava la sera alla stessa ora; andava in ferie nello stesso periodo e sempre nello stesso posto, a pochi chilometri dalla sua città. Non aveva desideri, non coltivava speranze. Non ricordava di aver mai fatto nulla, nella sua esistenza, che valesse la pena memorizzare o che fosse almeno minimamente diverso da ciò che adesso la riempiva.
Per la prima volta, però, quella sera si era chiesto come ciò potesse essere possibile. Non ricordava niente di differente nemmeno della sua infanzia, scandita dalla stessa immutabile routine. Sembrava quasi fosse nato con consuetudini programmate. Visto dal di fuori, sarebbe potuto apparire come uno che aspettasse solo la morte. Ma non era così: quell’uomo a suo modo si sentiva felice, non soffriva la propria solitudine. In fondo, sin da quand’era bambino, la sua esistenza era stata sempre una specie di rito.
Quella sera stava leggendo la solita vecchia rivista, seduto al posto di sempre dell’autobus quasi deserto che lo avrebbe riportato a casa, alla stessa ora di sempre. Fu attratto da una breve nota sul caos e sull’effetto farfalla che spiegava come il battito d’ali di un lepidottero nell’area del Golfo del Messico potesse scatenare un uragano nel Pacifico. Sollevò per un istante la testa e guardò attraverso il vetro buio: alla fine di una giornata che era stata identica a tutte le altre, egli si scoprì a pensare, come non era mai accaduto. E questo cambiò il corso della sua vita.
E di quella di tutti gli incolpevoli abitanti del pianeta.
Le porte dell’autobus si aprirono alla fermata, come d’abitudine. L’alito freddo dell’inverno che s’era affacciato all’interno gli stava suggerendo qualcosa che forse non avrebbe mai dovuto ascoltare. Lanciò un’ultima occhiata alla pagina della rivista.
Aveva preso una decisione. Una decisione banale.
Con uno scatto fulmineo, l’uomo infilò l’uscita e le porte si richiusero inesorabilmente dietro di lui. Nulla di diverso dal solito, se non fosse stato per il fatto che egli era sceso alla fermata precedente a quella che da sempre era stata la sua.
Si sentiva stranamente eccitato. Si mise a correre nella notte in cui risuonava soltanto il rumore ovattato dei suoi passi. Aveva il cuore in gola e una strana paura addosso. Prima di svoltare nella strada di casa, non si accorse del cartello inclinato e arrugginito che non s’era mai degnato di guardare; riportava la scritta incrostata e sbiadita: VIA DEL CONFINE.
Salì le scale, come aveva sempre fatto. Di diverso c’era adesso solo il suo ansimare. Una volta entrato nell’appartamento, cercò di calmarsi. Gettò le sue cose sul tavolo e si diresse nel bagno. Aprì il rubinetto del lavandino, si piegò e iniziò a sciacquarsi il viso congestionato, osservando l’acqua ruscellare disordinatamente intorno allo scarico. Poi, d’improvviso, dalle tubazioni uscì soltanto un sibilo sinistro.
E fu il silenzio.
Un silenzio totale. 
La sua mano tremava, mentre apriva la finestra. Si aspettò di vedere il solito panorama di sempre, i soliti palazzi grigi che circondavano il suo, la strada illuminata da lampioni che emanavano quella luce nostalgica, malata.
Una luce piangente.
E invece, come se tutto l’universo fosse stato divorato da una nebbia sottile e famelica, s’era reso conto che, affacciato alla finestra del suo bagno, adesso c’era soltanto il Nulla.
Beffardo. Leggero come una farfalla.
E silenzioso come il battito delle sue ali.

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